Recensione breve: Dylan Dog – “Lassù Qualcuno Ci Chiama” di Tiziano Sclavi

“Pazzi! Avete dimenticato, avete perso la lingua madre!”

Storia e soggetto bellissimi. Un Dylan inedito per me, che ero abituato (e velocemente mi ero disabituato, mollandolo) alla versione moralista e puritana di Recchioni & co.
Qui siamo su ben altri livelli. L’ironia c’è ed è calzante, ricca: equilibrata e grottesca nel duo Dylan/Groucho; allucinante e fantasiosa nei sogni di Humbert. 

tavoled_2Dylan Dog non è una macchietta! E questa è la cosa che ho preferito. Se nei numeri letti in precedenza, mi aveva dato l’idea di un John Constantine italianizzato e impoverito, qui Dylan si riscopre come un personaggio a 360′, con una sua identità. E’ dark, è geniale e spesso e volentieri introverso, quasi fosse un Tim Burton indagatore dell’incubo.

Senza spendere troppe parole sul soggetto della storia (che ho amato, davvero tanto), che magari, per chi ha letto i primi episodi, non è nemmeno dei migliori, mi limito a dire che lo stile di scrittura di Sclavi è originale, citazionista (da Keanu Reeves a Umberto Eco; da Gandhi a E.T. di Spielberg!) e fluido. Ci si perde nelle sue filastrocche, canzoni celtiche e quant’altro. Un linguaggio poetico popolare, quasi fosse figlio di De Andrè.

Si cerca la lingua madre, si cerca una figlia scomparsa. Chi vuole credere, chi permetterà ai suoi occhi e alle sue orecchie di non venire ingannati, scoprirà che la soluzione dei casi risiede nella stessa risposta: L’anima, i ricordi, l’esperienza del singolo individuo eco2sono la voce originale, la lingua madre. Un marchio che rimbalza, una volta asceso ad un nuovo stato di esistenza, per tutto l’universo.

Grazie Sclavi. Grazie Dylan. A volte abbiamo bisogno di credere che lassù qualcuno ci chiama.

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